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XXXIX



  Spento il diurno raggio in occidente,
e queto il fumo delle ville, e queta
de’ cani era la voce e della gente;
  quand’ella, vòlta all’amorosa meta,
5si ritrovò nel mezzo ad una landa
quanto foss’altra mai vezzosa e lieta.
  Spandeva il suo chiaror per ogni banda
la sorella del sole, e fea d’argento
gli arbori ch’a quel loco eran ghirlanda.
  10I ramuscelli ivan cantando al vento,
e in un con l’usignuol, che sempre piagne
fra i tronchi, un rivo fea dolce lamento.
  Limpido il mar da lungi, e le campagne
e le foreste, e tutte ad una ad una
15le cime si scoprian delle montagne.
  In queta ombra giacea la valle bruna,
e i collicelli intorno rivestia
del suo candor la rugiadosa luna.
  Sola tenea la taciturna via
20la donna, e il vento che gli odori spande,
molle passar sul volto si sentia.
  Se lieta fosse, è van che tu dimande:
piacer prendea da quella vista, e il bene
che il cor le prometteva era piú grande.
  25Come fuggiste, o belle ore serene!
Dilettevol quaggiú null’altro dura,
né si ferma giammai, se non la spene.

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