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II
SECONDA REDAZIONE DELLA DEDICA
DELLE DUE PRIME CANZONI
Giacomo Leopardi
al cavaliere Vincenzo Monti
Consacro a voi, signor cavaliere queste canzoni, perché quelli che oggi compiangono o esortano la patria nostra non possono fare di non consolarsi pensando che voi con quegli altri pochissimi (i nomi de’ quali si dichiarano per se medesimi quando anche si tacciano) sostenete l’ultima gloria degl’italiani; dico quella che deriva loro dagli studi e singolarmente dalle lettere e dalle arti belle; tanto che per anche non si potrá dire che l’Italia sia morta. Se queste canzoni uguagliassero il soggetto, so bene che non mancherebbe loro né grandiosità né veemenza; ma non dubitando che non cedano alla materia, mi rimetto del quanto e del come al giudizio vostro, non altrimenti ch’io faccia a quello dell’universale; conformandomi in questa parte a molti valorosi ingegni italiani che per l’ordinario non si contentano se le opere loro sono approvate per buone dalla moltitudine, quando a voi non soddisfacciano; o lodate che sieno da voi, non si curano che il piú dell’altra gente le biasimi o le disprezzi. Una cosa nel particolare della prima canzone m’occorre di significare alla piú parte degli altri che leggeranno; ed è che il successo delle Termopile fu celebrato veramente da quello che in essa canzone s’introduce a poetare, cioè da Simonide, tenuto dall’antichitá fra gli ottimi poeti lirici, vissuto, che piú rileva, ai medesimi tempi della scesa di Serse, e greco di patria. Questo suo fatto, lasciando l’epitaffio riportato da Cicerone e da altri, si dimostra da quello che scrive Diodoro nell’undecimo libro, dove recita anche certe parole d’esso poeta in questo proposito, due o tre delle quali sono espresse nel quinto verso dell’ultima strofe. Rispetto dunque alle predette circostanze del tempo e della persona, e d’altra parte riguardando alle qualitá della materia perse medesima, io non credo che mai si trovasse argomento piú degno di poema lirico e più fortunato