< Pagina:Canti (Leopardi - Donati).djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.
26 i. canti

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Canti (Leopardi - Donati).djvu{{padleft:36|3|0]]

guidò de’ Medi fuggitivi e stanchi
nelle pallide torme; onde sonâro
25di sconsolato grido
l’alto sen dell’Eufrate e il servo lido.

  Vano dirai quel che disserra e scote
della virtú nativa
le riposte faville? e che del fioco
30spirto vital negli egri petti avviva
il caduco fervor? Le meste rote
da poi che Febo instiga, altro che giuoco
son l’opre de’ mortali? ed è men vano
della menzogna il vero? A noi di lieti
35inganni e di felici ombre soccorse
natura stessa: e lá dove l’insano
costume ai forti errori ésca non porse,
negli ozi oscuri e nudi
mutò la gente i gloriosi studi.

  40Tempo forse verrá ch’alle ruine
delle italiche moli
insultino gli armenti, e che l’aratro
sentano i sette colli; e pochi Soli
forse fien vòlti, e le cittá latine
45abiterá la cauta volpe, e l’atro
bosco mormorerá fra le alte mura;
se la funesta delle patrie cose
obblivion dalle perverse menti
non isgombrano i fati, e la matura
50clade non torce dalle abbiette genti
il ciel, fatto cortese
dal rimembrar delle passate imprese.

  Alla patria infelice, o buon garzone,
sopravviver ti doglia.
55Chiaro per lei stato saresti allora

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.