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viii. inno ai patriarchi 37

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  Tu primo il giorno, e le purpuree faci
delle rotanti sfere, e la novella
prole de’ campi, o duce antico e padre
25dell’umana famiglia, e tu l’errante
per li giovani prati aura contempli:
quando le rupi e le deserte valli
precipite l’alpina onda fería
d’inudito fragor; quando gli ameni
30futuri seggi di lodate genti
e di cittadi romorose, ignota
pace regnava; e gl’inarati colli
solo e muto ascendea l’aprico raggio
di Febo e l’aurea Luna. Oh fortunata,
35di colpe ignara e di lugúbri eventi,
erma terrena sede! Oh quanto affanno
al gener tuo, padre infelice, e quale
d’amarissimi casi ordine immenso
preparano i destini! Ecco, di sangue
40gli avari cólti e di fraterno scempio
furor novello incesta, e le nefande
ali di Morte il divo etere impara.
Trepido, errante il fratricida, e l’ombre
solitarie fuggendo e la secreta
45nelle profonde selve ira de’ venti,
primo i civili tetti, albergo e regno
alle macere cure, innalza; e primo7
il disperato pentimento i ciechi
mortali, egro, anelante, aduna e stringe
50ne’ consorti ricetti: onde negata
l’improba mano al curvo aratro, e vili
fûr gli agresti sudori; ozio le soglie
scellerate occupò; ne’ corpi inerti,
domo il vigor natio, languide, ignave
55giacquer le menti; e servitú le imbelli
umane vite, ultimo danno, accolse.

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