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xix. al conte carlo pepoli 69

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25la natura mortal, veruno acquista
per cura o per sudor, vegghia o periglio.
Pure all’aspro desire, onde i mortali
giá sempre infin dal dí che il mondo nacque
d’esser beati sospirâro indarno,
30di medicina in loco apparecchiate
nella vita infelice avea natura
necessitá diverse, a cui non senza
opre e pensier si provvedesse, e pieno,
poi che lieto non può, corresse il giorno
35all’umana famiglia; onde agitato
e confuso il desio, men loco avesse
al travagliarne il cor. Cosí de’ bruti
la progenie infinita, a cui pur solo,
né men vano che a noi, vive nel petto
40desio d’esser beati; a quello intenta
che a lor vita è mestier, di noi men tristo
condur si scopre e men gravoso il tempo,
né la lentezza accagionar dell’ore.
Ma noi, che il viver nostro all’altrui mano
45provveder commettiamo, una piú grave
necessitá, cui provveder non puote
altri che noi, giá senza tedio e pena
non adempiam: necessitate, io dico,
di consumar la vita: improba, invitta
50necessitá, cui non tesoro accolto,
non di greggi dovizia, o pingui campi,
non aula puote e non purpureo manto
sottrar l’umana prole. Or s’altri, a sdegno
i vòti anni prendendo, e la superna
55luce odiando, l’omicida mano,
i tardi fati a prevenir condotto,
in se stesso non torce; al duro morso
della brama insanabile, che invano
felicitá richiede, esso da tutti
60lati cercando, mille inefficaci

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