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La sentenza del Salmista:
1796. Abyssus abyssum invocat.[1]
(Salmo XLI, vers. 7).
avverte di ritirarsi a tempo dalla sdrucciolevole china del vizio, in fondo alla quale si apre il baratro: e un’altra sentenza biblica avverte che nessuno è infallibile, che anche il giusto pecca, ma si pente, mentre l’empio precipita sempre più nel male:
1797. Septies enim cadet justus, et resurget: impii autem corruent in malum. [2]
(Proverbi di Salomone, cap. XXIV, v. 16).
e un’altra con fine umorismo ammonisce come sia facile rilevare e biasimare i vizi altrui, essendo pure indulgentissimi verso i propri:
1798. Quid autem vides festucam in oculo fratris tui, et trabem in oculo tuo non vides?[3]
(Evang. di S. Matteo, cap. VII, v. 3 — S. Luca, cap. VI, v. 41).
per cui fastidiosissima cosa è secondo Giovenale il biasimare negli altri quegli stessi vizi dei quali si è macchiati:
1799. Quis tulerit Gracchos de seditione quærentes?[4]
(Sat. II, v. 24).
Intendasi, chi non si muoverà a sdegno sentendo i viziosi e i colpevoli rimproverare altrui i loro stessi peccati? cioè i Gracchi accusare altri di sedizione, e, come Giovenale stesso dice più oltre, Verre portare accusa di ladroneccio, Milone di omicidio, Clodio di adulterio?
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