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760 Chi l’ha detto [2138]

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2138.             Il vezzoso terremoto.

L’ab. Vanneschi di Firenze, autore di certi drammi per musica, roba proprio da chiodi, ne aveva fatto rappresentare uno al teatro del Cocomero, oggi Niccolini; e poichè vi aveva introdotto una arietta che cominciava: Il Leone che scherza e ride, Tommaso Crudeli, di Poppi nel Casentino (1703-1745), bello e vivace ingegno, e poeta non spregevole, che assai odiava il Vanneschi, nel sentir cantare quell’arietta, improvvisò tre epigrammi, dei quali non rimase celebre che un verso solo:

  L’elefante innamorato
  Con maniera — non più fiora,
  Ma gentile, ma vezzosa,
  La proboscide amorosa
  Spinge in seno al caro ben.
 
  Graziosetta oltre l’usato,
  E nel volto più serena
  Va per l’onde la balena,
  Vezzeggiando, saltellando
  Quando amor le punge il sen.
 
  Il vezzoso terremoto
  Va ingoiando le città,
  Ed il fulmine giulivo,
  Non lasciando un uomo vivo
  Va scherzando in qua e in là.

Il terzo di questi epigrammi fu da altri attribuito, ma a torto, ad Antonio Valentini, di Lecce, strambo poeta, lo stesso che per dimostrare il suo sviscerato amore ad una donna, le diceva: Donna, ti amo sino al pugnale, e che li avrebbe scritti dopo il terremoto, tutt’altro che innocuo, del dicembre 1857, nett’ex-regno di Napoli. E citano i versi medesimi in quest’altra forma:

  Il gentile terremoto,
  Con l’amabile suo moto
  Smantellava le città,
  Mentre il fulmine giulivo,
  Che non lascia un uomo vivo,
  Saltellava qua e là.

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