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GIACOMO LEOPAUDI A ROMA. 213
bellezza del corpo, è verso la natura appresso a poco quello che è verso Tamata un amante ardentis- simo e sincerissimo, non corrisposto nell'amore.... Egli sente subito e continuamente che quel bello, quella cosa ch'egli ammira ed ama e sente, non gli appar- tiene. Egli prova quello stesso dolore che si prova nel considerare o nel vedere l'amata nelle braccia di un altro o innamorata di un altro e del tutto non curante di voi. Egli sente quasi che il bello e la na- tura non è fatta per lui, ma per altri (e questi, cosa molto più acerba a considerare, meno degni di lui, anzi indegnissimi del godimento del bello e della na- tura, incapaci di sentirla e di conoscerla ecc.) ; e prova quello stesso disgusto e finissimo dolore di un povero affamato, che vede altri cibarsi dilicatamente, larga- mente e saporitamente, senza speranza nessuna di poter mai gustare altrettanto. >• Se si considera che fra le cose belle della natura quella che il misero Leopardi maggiormente ammi- rava ed amava era la bellezza femminile, e ch'egli nel fiore della gioventù dovè sempre esserne affa- mato senza nessuna speranza di poterne mai gustare, si capisce facilmente com'egli scrivesse che le donne romane alte e basse facevano stomaco. Ma mentre si vendicava così del sesso gentile, scriveva malinco- nicamente al fratello : < Io vivo qui molto indifferen- temente; non tratto donne, e senza queste nessuna occupazione o circostanza della nostra vita ha diritto di affezionarci o di compiacerci. >* Anche si comprende com' egli, con un po' più di ragione, dicesse male degli uomini e della letteratura di Roma. Ma una cosa riesce a prima vista incom- prensibile; ch'egli, poeta innamorato dell'antichità, ammiratore entusiastico della grandezza e della glo-
- Pensieri di varia filosofia ec, voi. II, pag. 148, 149.
- Epistolario, voi. I, pag. 428.