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LE < OPERETTE MORALI. > 225

mesi della sua dimora in Roma, avrà dovuto ricono- scere che esso era ben poca cosa; anzi come lette- ratura era niente. Oltre i due articoletti sul Filone dell'Aucher e sulla Ttepulhlica di Cicerone ritrovata dal Mai, pubblicati nelle Effemeridi letterarie di Roma degli ultimi del 1822, egli non avea fatto altro che com- pilare il catalogo dei codici greci della Biblioteca Bar- berina, e trascrivere nella biblioteca stessa un fram- mento ignorato della orazione di Libanio ùnè? -cfiv tepwv, con la intenzione di pubblicarlo in Germania; di che avea già parlato col Niebuhr. Se non che il Mai, levandoglielo quasi di mano, lo pubblicò prima lui. Giacomo se n'ebbe molto a male; credè che il Mai gli avesse voluto fare un dispetto; e da quel mo- mento non volle più avere intrinsichezza con lui. Non volle nemmeno mandargli le Annotazioni aH'Eusebio,^ quando nel dicembre furono pubblicate le copie a parte; e più tardi parlando di lui aflFermò ch'egli, come il Mezzofanti, doveva la porpora al gesuitismo, non alla filologia. Dissi nel capitolo innanzi che il Leopardi nei primi tempi che fu a Roma, veduto l'ambiente poco favo- revole, smise forse l'idea di stampare le Canzoni. Ma poi, passato qualche tempo, mutò pensiero e le pre- sentò alla Censura, la quale, contro ciò ch'egli si aspet- tava e gli altri gli predicevano, diede il permesso di pubblicarle; ma mentre forse andava pensando di mettere mano alla stampa, dovè partire da Roma e abbandonò per allora quel pensiero. ♦ * Fra gli stranieri conosciuti dal Leopardi a Roma l'unico forse col quale potè parlare di letteratura e di filosofìa, fu un signor A. Jacopssen di Bruges nei • Vedi Epistolario, voi. I, pag. 530. CniAniNi, Leojj. jr

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