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A BOLOGNA. 263

davanti ad una relazione come questa, se non appro- vare le proposte del Cardinale Camerlengo ? E le ap- provò. Della ragione vera per la quale Giacomo non ebbe il posto dell'Accademia, nò egli, né i suoi parenti, né gli amici, nò il Bunsen, non trapelarono mai niente : la verità è venuta à galla soltanto due anni fa, per le ricerche di uno studioso, il signor Carlo Bandini ; il quale, narrati e documentati i fatti, che io ho bre- vemente esposti, osserva: < Se l'eco dei discorsi tenuti in quella udienza pontificia si potesse ridestare, noi per certo sentiremmo risuonare, nella dorata sala, con la voce del Galeffi (il Cardinale Camerlengo) un nome — quello di Pietro Giordani, il temuto demone da cui si doveva tener lontano il più possibile G. Leo- pardi. >' Povero Giordani! Chi glie lo avesse detto! Egli che adorava il suo Leopardi, che avrebbe messo sossopra il mondo pur di vederlo contento! Ma egli odiava ferocemente i preti cattivi, e i preti cattivi lo ripagavano di eguale moneta. Il Bunsen il 27 gennaio 1826 scrisse al Leopardi ragguagliandolo dell' infelice resultato delle sue pra- tiche per il posto dell'Accademia, e proponendogli una cattedra a Berlino o in Roma. E Giacomo, ri- spondendogli il V febbraio, giudicava la condotta del Governo così : < Il mio affare.... è una nuova prova del quanto poco, anzi nulla, ci possiamo noi confi- dare in questo nostro Governo gotico, le cui promesse più solenni vagliono meno che quelle di un amante ubbriaco. > ' Bandini, articolo citato, pag. 676.

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