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302 CAPITOLO XV.

varci qualche cosa da ridire; e ciò, combinato con le impressioni personali del Leopardi, diventò per lui il giudizio delle persone di gusto. Ho detto che il Leopardi capiva da sé la ragione per la quale le Operette morali non potevano incon- trare gran favore ; ma forse non la capiva abbastanza, benché lo Stella glie ne avesse dato già qualche in- dizio; o forse credeva che il merito reale del libro dovesse imporsi ; ciò che avvenne, ma molto più tardi. Letto il saggio pubblicato nella Antologia, l'editore gli scrisse che lo trovava ammirabile per forza e no- vità: < Debbo però soggiungere, diceva, che quantun- que creda anch'io che stiamo qui tutti a penare iti hac lacrimaruni valle, non sempre però lo nostre la- grime sono d'amarezza, o di dolore, ma che talvolta ne spargiamo alcuna di contentezza. > ' Più tardi, dopo che ebbe pubblicato il volume, comunicava all'autore questo giudizio di un letterato; il quale non era altri che Niccolò Tommaseo : < Ho letto il libro del conte Leo- pardi: mi pare il libro meglio scritto; ma i principii, tutti negativi, non fondati a ragione, ma solo a qual- che osservazione parziale, diffondono nelle immagini e nello stile una freddezza che fa ribrezzo, una deso- lante amarezza. >' Lo parole dello Stella rappresentano, dirò così, l'opinione del buon senso; il giudizio del Tommaseo si può considerare come l'indice di ciò che intorno alle Operette morali dovevano pensare la grande mag- gioranza degli scrittori italiani che facevan capo al Vicusseux. Ma 86 i lettorati daW Antologia in generale, vinti dal preconcetto dello loro ideo, non apprezzarono dc- gnanicnto le Operette morali, uno di essi, il Montani, appena finito di leggerle, scrisse al Giordani, allora

  • EpUtolat-io, voi. Ili, pAR. 835, nSA.
  • Idvm, voi. II, png. 232 in notn.
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