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A PISA E A FIRENZE. 311

che il poeta non potè lavorare aftatto furono ben po- chi; tanto è vero che mise insieme la Crestomazia poetica in minor tempo di quello che aveva preveduto u indicato allo Stella. Fece, per mezzo del dott. Cloni, parecchie cono- scenze, fra le quali quella del famoso Carraignani, pro- l'ossore di diritto penale alla Università, ad una delle cui lezioni assistè, in compagnia del Cioni. L'aula ma- cina era piena, appunto perchè si sapeva che sarebbe intervenuto il poeta. 11 professore salì la cattedra, ma non cominciò subito la lezione: chiamato un bi- dello, gli ordinò di mettere due sedie in luogo distinto presso la cattedra; dopo di che, fatti entrare il Leo- l)ardi ed il Cioni, li invitò a sedersi, e presentò alla scohiresca il poeta con parole degne di lui. Una salva di applausi accolse le parole del professore.' Ad un'adunanza dell'Accademia dei Lunatici, presso una signora Mason, Giacomo conobbe il Guadagnoli. Lo sentì recitare le sue sestine burlesche sopra la pro- pria vita, accompagnando il ridicolo dello stile e del soggetto con quello dei gesti e della recitazione.* Mentre tutti ridevano di cuore alle barzellette del giovane poeta, il Leopardi ne provò un sentimento doloroso. Quello spettacolo di un giovane che poneva in burla se stesso, la propria gioventù, le proprie sventure, dan- dosi come in ispettacolo e in oggetto di riso, gli parve un genere di disperazione de' più tristi a vedersi, tanto più tristo (pianto congiunto cui un riso sincero, e ad una ptrfetta gaieté de cwar. Probabilmente il Leo- pardi, il quale prendeva tutto sul serio, non si ac- corse che lo cose che il Guadagnoli diceva non erano prese troppo sul serio né da lui stesso né dai suoi ascoltatori.

  • Vedi Camillo Astona-Tbaversi, Studi su Giacomo Leo-

pardi; Napoli, Detken, 1887, pag. 249. ' Vedi Pensieri di varia filosofia ec, voi. VII, pag. 356, 357.

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