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312 CAPITOLO XVI.

Finché durò l' inverno, cioè fino a tutto febbraio, Giacomo la sera non usciva di casa; e queste erano le ore per lui più noiose, che gli facevano rimpian- gere le serate di Vieusseux. Il resto della giornata lo passava abbastanza bene, passeggiando, lavorando, ri- cevendo visite ; le quali erano tante che qualche volta, scrive al padre, lo annoiavano. < Anche qui, soggiunge, tutti mi vogliono bene, e quelli che parrebbe doves- sero guardarmi con più gelosia sono i miei panegi- risti ed introduttori, e mi stanno sempre attorno. >' Uno di coloro che probabilmente andavano a trovarlo più spesso, e che forse più lo annoiavano, era il Re- sini, alla vanità del quale il Leopardi accenna in uno dei pensieri dello Zibaldone scritto due anni più tardi a Recanati.^ Il Rosini stava allora terminando La Mo- naca di 3Ion^a, con la quale, come è noto, intese ri- valeggiare coi Promessi Siwsi; e naturalmente avrà parlato al Leopardi del romanzo suo e di quel del Manzoni. Giacomo, che non poteva non sentire la di- stanza enorme fra il pigmeo ed il gigante, avrà riso in cuor suo alle fanfaronate del Rosini ; ma non gli sarà dispiaciuto troppo sentir detrarre alcun che alle lodi del Manzoni, la cui adorazione nel crocchio di Firenze dovò parergli eccessiva; come eccessiva gli parve nel- l'articolo del Tommaseo, del quale scrisse al Vieusseux: < L'articolo sul Manzoni potrà trovar molti che abbiano opinioni diverse, ma certo non potrà ragionevolmente esser disprezzato. Solo quella divinienazione che vi si fa del Manzoni, mi ò dispiaciuta, perdio ha dell'adu- latorio, e gli eccessi non sono mai lodevoli. >' Fra i visitatori del poeta e' era il figliuolo del Cioni, rimasto a studio a Pisa; un ragazzo allora di quat- tordici anni, che mezzo secolo dopo scrisse le sue ro- minisconzo leopardiane di quel tempo in una let-

  • K/iinlolario, voi. II, png. 2H2.
  • Vodi l'annitrì di varia fUimofla oc, voi. VII, png. 428.
  • EpUtlolario, voi. II, p»g. 271.
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