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A PISA E A FIRENZE. 313
tera ad un amico.' In quelle reminiscenze non c'è nulla d'importante che giA, non si sapesse, ad ecce- zione della visita del poeta alla Scuola del Carmi- gnani, della quale ho parlato. Nel resto il Cioni dice : ■: Del Leopardi molti han scritto e giudicato; raa 1 giudizi son monchi per la ragione che ogni uomo de- v' esser visto anche in ciabatte; > e ricostruisce un Leopardi in ciabatte, che non merita di esser veduto da nessuno; perchè nessuno c'imparerebbe niente che gli giovasse a meglio intendere l'uomo e lo scrittore. Che il Leopardi fosse sempre mesto e taciturno, come afferma il Cioni, il quale dice di non averlo ve- duto lina volta sorridere, è attestato da tutti quelli che lo conobbero, e dalle sue lettere di ogni tempo. Anche noi periodi men tristi della sua vita, come quelli della dimora a Bologna e a Pisa, la malinconia gli era abituale; era, si può dire, il suo stato normale; ma era più o meno grave, secondo gli alti e bassi dei suoi nervi, secondo le circostanze del momento, se- condo le persone alle quali parlava o scriveva. Nel leggere le sue lettere, anche quelle da Pisa, bisogna tener conto sopra tutto di questa ultima circostanza; senza di che non si spiegano certe apparenti contra- dizioni. Al padre scriveva in un modo, al Giordani in un altro; perchè con quello gli premeva giustificare, come necessario alla salute, il suo stare lontano da casa, con questo si lasciava sempre andare alle espres- sioni più malinconiche e disperate. Ma in generale a Pisa stette abbastanza contento ; ed ebbe anche qual- che istante di buon umore. Un malinconico sorriso erra tra le righe della let- tera scritta il 31 marzo a suo fratello Pier Francesco, per rallegrarsi che di canonico senza canonicato fosse divenuto canonico di fatto. < A proposito di pasqua, vi raccomando quelle povere uova toste, che non le stra- ' Vedi Antona-Tkaversi, opera citata, pag. 247 e seg.