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402 CAPITOLO XX.

la mezzanotte. > Aggiungeva ch'esso interveniva re- golarmente alle sue conversazioni del giovedì, che so- lamente in principio dell'anno, durante i freddi ec- cessivi, si era risentito un po' de' suoi incomodi, ma che la sua salute non aveva destato mai nessun timore. Il Ranieri, appena ricevuta la letterina del Leo- pardi, corse subito a Firenze, dove trovò l' infermo, dice lui, che non stava punto bene. Come veramente stava apparisce dalla lettera del Vieusseux alla Pao- lina; alla quale due giorni dopo scrisse Giacomo stesso per esprimere a lei e alla famiglia il dispiacere gran- dissimo per l'angoscia procurata loro involontaria- mente. < Care mie anime, finiva la lettera, vede Iddio ch'io non posso, non posso scrivere: ma siate tran- quillissimi, io non posso morire: la mia macchina (così dice anche il mio eccellente medico) non ha vita bastante a concepire una malattia mortale. Vi lascio per forza abbracciando tutti con immensa tenerezza. > ' Il Ranieri arrivò a Firenze la notte del 20 aprile ; aprì con le chiavettine che aveva seco l'uscio di strada e quello delle scale, e senza destare nessuno, nem- meno il Leopardi, si mise a letto. La mattina dipoi, quando si rividero, il poeta fu tutto consolato del ritorno dell'amico, senza la cui compagnia si sentiva solo e come sperduto nel mondo. I due anni 1831, 1832, gli anni dell'amore per la Targioni, orano stati dei piit tristi nella vita del poeta, forse i più tristi: tristissimo sopra modo quel lungo periodo dal luglio 1832 all'aprile del 1833 clic il Ra- nieri era stato lontano. Un uomo, nelle condizioni di salute e d'animo del Leopardi, non poteva vivere senza accanto una sorella, una moglie, un'amica, che avesse per lui quelle mille curo quotidiane affettuose, di cui pare che solamente le donne siano capaci. Co- testa sorella, cotesta moglie, cotosta amica, fu pur lui

  • Epistolario, Tol. II, pag. 614, 61B.
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