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430 CAPITOLO XXI.
Appare da queste parole che il Capponi aveva ben compreso che la satira del Leopardi intendeva ferire, non già i patrioti veri, ma i falsi, non già quel che v'era di buono nelle dottrine della scuola della lettera- tura civile, ma le esagerazioni di essa, a proposito delle quali il Capponi medesimo scriveva nella citata lettera al Leopardi : < In tutto il dimenarsi di questo secolo, se v' è qualcosa di buono, la pedanteria de' nostri pro- fessori di civil sapienza la rende intollerabile. > Indipendentemente dallo spirito e dal contenuto della poesia, alcuni ritengono che anche come opera d'arte sia un lavoro mediocre, perchè, dicono, < non serba e non rivela costante ed uguale la intenzione e intonazione ironica, > e perciò < manca della più essen- zial condizione d'ogni componimento satirico. >' A me, al contrario, il frequente e talora quasi inavvertito passaggio dal tuono ironico al serio, quel misto di satira e di poesia grave, pare uno dei pregi della Pali- nodìa; e non mi fa gran forza, anzi nessuna, il fatto che il Parini (e su lui ci sarebbe da osservare qual- cosa) ed altri abbiano trattato l'ironia diversamente. Un solo difetto trovo in quel componimento: mi pare in alcune parti un po' lungo, cioù non abbastanza con- densato. II periodo dalla primavera del 1835 all'autunno del 183G fu il tempo miglioro della vita del Leopardi a Napoli. Il cerchio delle suo conoscenze, specialmente letterarie, si era andato allargando; ciò che in parto gli procurava distrazioni, in parte lo lusingava; ben- ché quasi tutti quei letterati professassero, come ac- cennai, opinioni contrarie alle sue, ed egli disprezzasse lo loro idee filosofiche. • / Cantt di Giacomo f^opat'ill, oommuiilati da AlfioiJo Strnc- oaU; Firanzo, HAiiaoni; ItiWi, pa({. IW.