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440 CAPITOLO XXI.

D'altra luce giammai, né d'altra aurora. Vedova è iusino al fine; ed alla notte Che l'altre etadi oscura, Segno poser gli Dei la sepoltura. Anclie in questa poesia si può intravedere qual- che riflesso della campagna napoletana. Per quanto il paesaggio nella descrizione del tramonto della luna nella prima strofa sia un po' indeterminato, si sente negli elementi ond'esso è composto qualche cosa di meridionale. E il sorger del sole negli splendidi versi: folgorando intorno Con sue fianmie possenti, Di lucidi torrenti Inonderà con voi gli eterei campi, se può esser veduto così in qualsiasi parte d'Italia, in nessuna certamente meglio che sotto il cielo di Napoli. Nella Ginestra abl)iamo dinanzi la campagna ve- suviana in tutti i suoi particolari, col suo terribile passato, col suo squallido e pauroso presente. Seduto alle falde del monte, il poeta s'immagina di vedere la famosa eruzione che diciotto secoli innanzi distrusse Ercolano e Pompei, e la descrive in pochi versi mirabilmente. Nò meno mirabilmente descrive il terrore che ad ogni nuova eruzione, o minaccia di ossa, prende oggi gli abitanti di quelle contrade. Il villa- nollo leva Io sguardo sospettoso alla vetta fatalo ; e spesso, vegliando tutta la notte, salo sul tetto per esplorare il corso Del tornato bollor, che si riversa Dall' inesaasto grembo Sull'aronoBO dorso, n cui riluco Di Capri la marina E di Napoli il porto e MorgoUina. E 80 appreMMar lo vede, o ne nel cupo Del domestico pozzo ode mai l'acqua

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