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168 INFERNO. — Canto VI. Verso 94 a 109

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E il duca disse a me: Più non si desta
  Di qua dal suon dell’angelica tromba; 95
  Quando verrà la nimica podesta,
Ciascun ritroverà la trista tomba,
  Ripiglierà sua carne e sua figura,
  Udirà quel che in eterno rimbomba.
Sì trapassammo per sozza mistura 100
  Dell’ombre e della pioggia, a passi lenti,
  Toccando un poco la vita futura:
Perch’io dissi: Maestro, esti tormenti
  Cresceranno ei dopo la gran sentenza,
  O fien minori, o saran sì cocenti? 105
Ed egli a me: Ritorna a tua scienza,
  Che vuol , quanto la cosa è più perfetta,
  Più senta il bene, e così la doglienza.
Tuttochè questa gente maledetta




V. 94. Segue suo poema dicendo che inanzi il dì del giudizio, non si leverà, quasi a dire che dopo questa poetria, non ne sarà alcuno che di Ciacco faccia menzione.

97. Dice che ciascuno rivederà la sua fossa e ripiglierà sua carne e figura, e cosi rifatti udiranno lo giudizio di Cristo.

100. Segue lo poema come appare nel testo, ch’andavano a passi lenti cioè piano, e ragionavano della vita futura, cioè di quello che sarà dopo lo die del giudizio; per lo quale ragionamento divenne che Dante domandò Virgilio se le pene de’ dannati cresceranno dopo lo predetto die o menimeranno, o saranno pure così fatte.

106. Risponde Virgilio, e dice: torna a tua scienzia, cioè a filosofia naturale, la quale vuole che come la cosa è più perfetta più senta il bene (e nota qui perfetta per compìta); e così per opposito quella che è più imperfetta (cioè men compita) non sente la doglienza: e questo dice lo filosofo in libro De anima: che come l’anima è in corpo più perfetto organato, più perfettamente cognosce; che s’ella riceve difetto in alcuno organo, come in visu, in auditum etc, ella è priva di quella cognizione che per quello organo s’acquista, e per consequens men perfetta. Sichè la risposta si è che perchè saranno più compiute, cioè ch’avranno lo corpo, dello quale innanzi il die del giudizio sono in privazione, più sentiranno la pena, e per consequens le pene saranno maggiori.

109. Qui espone quel vocabolo perfetta, cioè che non si dee intendere perfezione ma compita.

Qui pone fine al sesto canto, ed entra nel quarto circolo là dove per benintrata trovò Pluto dimonio.

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