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Parte terza | 105 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Cuore infermo.djvu{{padleft:105|3|0]]Ella ringraziò col capo, senza rispondere; la carrozza voltò e si allontanò rapidamente, scomparendo dietro l’angolo della via Chiatamone. Sangiorgio e Collemagno erano rimasti fermi sul marciapiedi, tenendole dietro con lo sguardo.
— Ebbene, Marcello?
— Vo a casa — rispose costui brevemente.
— Ti accompagno sin là.
E risalirono la strada di Chiaia, rientrando nel movimento e nel chiasso della città. Si accendevano i lumi, le vetrine rilucevano. I due amici andavano daccanto, come distratti, urtando la gente.
— Che te ne pare, Marcello?
— Di che?
— Di Lalla.
— La contessa D’Aragona?
— Lalla.
— Nulla, amico mio.
— Come, nulla?
— ....Non la comprendo ancora, forse.
E stette zitto, quasi non gli garbasse il discorso. Ma Collemagno voleva una parola decisiva.
— Non ti pare che sia una donna capace di sedurre?
— Tutte le donne possono sedurre.
— Non t’innamorerebbe?
— Me?
— Te.
— ....Non so. N’ebbi pietà due o tre volte in un’ora. È molto ammalata. Il profumo che porta è assai strano. Ho mal di capo, credo.
Decisamente Marcello non ne voleva più parlare. Pure, mentre salivano per Pizzofalcone, egli stesso chiese a Collemagno:
— Quale era poi la malignità di oggi?