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Parte prima | 13 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Cuore infermo.djvu{{padleft:13|3|0]]cangiati. Io sono contenta adesso, come allora: non ho simpatie, non ho amori.
E terminò le sue parole con un gesto vago e largo verso l’orizzonte, quasi avesse voluto includere nella sua negazione il cielo, il mare e la vicina Napoli, che si accendeva di lumi tremolanti come stelle. Ma ella non si era animata; nella sua voce chiara e spiccata non era passato alcun calore; le parole cadevano nette, uguali, precise, quasi monotone.
— Un matrimonio senz’amore... — mormorò Amalia.
— Non è certo una cosa spaventosa. Poi, ci si stima.
— La stima non basta: si è infelici con la sola stima.
— Per me, sono felice sempre e dappertutto — rispose Beatrice; — ma ecco che divento anch’io drammatica. Vedi? Sul peristilio c’è mio padre, tuo marito e Marcello Sangiorgio. Ci aspettano: voglio presentarti al mio fidanzato. È un bel gentiluomo, molto elegante. Vuoi che andiamo?
— Andiamo — disse l’altra, rassegnandosi, con un sospiro, a rinunziare alle sue care fole. Pure, mentre si avviavano verso il peristilio, ella tentò rivolgere a Beatrice un’ultima domanda:
— E l’avvenire?
Beatrice si fermò, attenta; una nube parve fosse passata sul suo viso; chinata la testa, prosciolte le braccia, si abbandonava ad un sentimento di debolezza. Ma fu breve impressione.
— L’avvenire?! — rispose, con un risolino ironico — ma se lo consumiamo ogni giorno! Non vale la pena di pensarci.
E dopo due minuti:
— Marcello, ho l’onore di presentarvi la signora contessa Amalia Cantelmo. Amalia, il duca Marcello Sangiorgio.