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140 | Cuore infermo |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Cuore infermo.djvu{{padleft:140|3|0]]— Forse; andate pure innanzi.
— Ebbene, cara figliuola, tu sei troppo saggia, troppo seria, troppo riflessiva per un poeta simile. Egli ne soffre assai, te ne sarai accorta. È una follia, lo so. Ma che farci? Non potresti tu, così per contentarlo, volergli un po’ di bene?
— Io gliene voglio.
— Capisco. Un po’ di più o diversamente...
— Siete voi ora che fate della poesia, papà.
Egli arrossì un poco. Sua figlia lo feriva con la medesima sua arma. Si sentiva debole ed indifeso, davanti a quella donna che era la sua immagine.
— Vi sono costretto, giacchè siamo incappati in Marcello Sangiorgio. Egli ti ama molto, Beatrice; tu potresti fare qualche cosa per lui. Infine, dicono che l’amore esista. Sarà bene; ma chi ti conosce, potrebbe dubitarne.
— Eppure, voi trovate buono il mio carattere, papà.
— ... È vero, naturalmente. Ti chieggo di fare un grande sforzo... di vincerlo questo carattere...
— In verità, non vi riconosco più.
— Non mi riconosci, non mi riconosci! Molte cose si dicono, ma poi si finisce per essere uomini come tutti quanti. Sii donna, cara mia. È la parte di voi altre quella di amare.
— Io non posso cangiarmi da quella che sono, papà.
— Non lo puoi o non lo vuoi?
— Forse, non lo posso; certo, non lo voglio.
— Io sono tuo padre; se io te ne pregassi?
— Sarebbe inutile — rispose ella freddamente, abbassando il capo.
Egli comprese quanta ferma risoluzione fosse in queste parole. Perdeva terreno ad ogni frase e se ne indispettiva vivamente.