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Parte quarta | 151 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Cuore infermo.djvu{{padleft:151|3|0]]quello che è raffinatezza elegante. Con diciotto abiti nuovi, dieci o dodici cappellini, quattro ombrellini, sei ventagli, stivalini e guanti analoghi, una dama può decentemente passare due mesi a Sorrento.
Più ancora: si può, senza traccia di carattere borghese o selvaggio, restarsene in disparte, lasciando andare gli svaghi campagnuoli. Non manca il buon gusto, anzi ne è una squisitezza quel ritirarsi due mesi in una vita quieta, per prepararsi a quella turbinosa dell’inverno. Piace alle donne darsi l’aspetto di gentili eremite, di pensose solitarie. Si richiede sovente di esse, corrono notizie, si fanno supposizioni, si desidera lungamente di rivederle; in quella loro assenza esse sanno di rifiorire. La loro bellezza, in quel riposo, diventa più rosea, più brillante, e quando riappariscono, dopo essere state tanto evocate, alle antiche seduzioni una nuova indefinita è venuta ad aggiungersi.
Questo sapeva Beatrice. Senza mancare alle convenienze sociali, di cui era rigorosa osservatrice, ella poteva ottenere il po’ di riposo che voleva. Ella non discendeva alla spiaggia per i bagni marini, non avendone alcun bisogno: stava benissimo in salute. Evitava le gite mattinali a cagione del sole che non amava molto — e lo diceva. Riceveva poco: i giovanotti allegri e le signorine troppo gaie avevano finito per dichiarare, che non si poteva soffrire il silenzio della sua villa. Erano in due soli ad abitarla, la villa: Beatrice e Marcello. Costui quasi sempre assente, a Castellammare, a Meta, a Capri, lontano o semplicemente in visita in qualche villa vicina; Beatrice con quella sua aria freddina e sorridente che incoraggia appena a metà le visite, i complimenti. Il conte Sangiorgio, il vecchio, in Calabria, a sorvegliare certi lavori di taglio. Il duca