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156 Cuore infermo

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Cuore infermo.djvu{{padleft:156|3|0]] della sera. Ogni tanto usciva sulla porta della rotonda, fissando l’oscurità: ogni tanto faceva un giretto di nuovo sul terrazzo e ritornava alle sue occupazioni predilette. Di rado le annunziavano qualche visita. Discendeva quasi a malincuore al primo piano. Pure il malincuore durava poco. Era nel suo carattere — reale o fittizio — il non ostinarsi in un pensiero, in una impressione; avere la facoltà di accoglierli tutti e tutte egualmente. Le piaceva la torricella rotonda; ma non si poteva affliggere molto, quando doveva abbandonarla. Alla mezzanotte, se Marcello era rientrato, veniva ad augurarle in fretta la buona notte, con l’aria di stanchezza che gli era divenuta abituale. Se no, ella chiamava la cameriera:

— Giovannina, è rientrato il signor duca?

— No, eccellenza.

— Va bene; venite a spogliarmi.

Dopo l’abbigliamento della notte, diceva le sue orazioni non molto lunghe, andava a letto, e si addormentava del suo sonno felice e leggiero.


La villa Sangiorgio rimane nel folto degli aranci. Ma accanto al suo grande parco, vi è il piccolo parco dove si cela la villa Torraca.

II.


Una carrozza si fermò sul piazzale, davanti il portone. Beatrice, che scriveva una lettera, tese l’orecchio: furono schiusi due o tre usci, un fruscìo di abiti, un vocìo femmi-

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