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Parte quarta | 159 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Cuore infermo.djvu{{padleft:159|3|0]]moriremo. Parliamo d’altro. Che fai qui, da mattina a sera, duchessa?
— Molte cose. Lavoro di ricamo, leggo, passeggio nel parco, esco a cavallo, mi trattengo sul terrazzo. Ti assicuro, il tempo mi va via molto bene. Vengono anche amici; voi altre per esempio.
— E i vicini? — chiese Amalia, senza badare ad una occhiata di rimprovero della Aldemoresco.
— Qui la villa è isolata; non ne so molto dei vicini.
— Al solito — disse Amalia, con un tono singolare.
— Al solito, di che? — si rivoltò vivamente Beatrice.
— Volevo dire, al solito della tua indifferenza. Non hai accanto a te la villa Torraca, dove abita la contessa D’Aragona?
— Credo di sì.
— Ma scusa, Amalia, a noi non importa nulla della D’Aragona — interruppe Fanny, con la sua buona e generosa natura — e neppure a Beatrice interessa molto. Lasciamola lì nella sua villa, la contessa. Ci è venuta per salute; speriamo che guarisca e vada via.
— È sofferente? — chiese Beatrice, senza dare alcun interesse alla sua domanda.
— Già, già, sofferente — riprese, con dispetto, la Cantelmo: — è sempre ammalata, sempre in fin di vita, e rinasce sempre, e sta molto meglio di noi. Le sappiamo queste malattie...
— Le quali somigliano famosamente a certe malinconie di mia conoscenza — osservò Fanny, cercando di stuzzicare la Cantelmo per distrarla dal suo soggetto.
— Pur troppo, no: — sospirò Amalia, lasciandovisi prendere: — ma tu non puoi intendermi, Fanny.
— Neppure io? — domandò Beatrice.
— No, no; avete detto che siete felici. Tanto basta; io ne godo per voi.