< Pagina:Cuore infermo.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

Parte quarta 169

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Cuore infermo.djvu{{padleft:169|3|0]]— È tardi — mormorò: — a rivederci, Beatrice.

— A rivederci, Marcello.

Quando fu andato via, ella prese una sedia e si pose nel suo angolo favorito. Chinò un momento il capo sul petto. Simili scene la stancavano.

III.


Sulla porta dello Stabia, alcune signore si trattenevano ancora un poco a discorrere fra loro, prima di partire. Parlottavano sottovoce, con certi scoppietti di riso, raccogliendo i loro strascichi per salire in carrozza; al chiaro della luna brillavano i fili d’argento di una mantiglia ricamata. Esse si scambiavano, presto presto, le impressioni del ballo, il nuovo waltzer di Metra dal ritornello così stridente, ma che solleticava i nervi, lo scandaluccio della Filomarino che aveva ballato quattro volte con Mimì d’Alemagna, l’abito verde a fiori gialli, un ardimento strano, della Vanderhoot; prolungavano il loro piacere in quel dialoghetto vivace, spezzato da esclamazioni e da risatine. Intanto la sala si vuotava lentamente. I villeggianti di Meta, di Vico Equense, di Pianosorrento erano già partiti. Beatrice finalmente si decise a staccarsi dal gruppo delle sue amiche. Molti buona sera e dei buon viaggio risuonarono nell’aria, qualche bacio fu scambiato; Marcello che attendeva, discorrendo con Aldemoresco, Cantelmo e Filomarino, si accostò ed aiutò sua moglie a salire in carrozza.

— Vuoi far chiudere il mantice? — chiese, salendo dopo lei.

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.