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174 Cuore infermo

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Cuore infermo.djvu{{padleft:174|3|0]] il mare, e Beatrice si meravigliò con sè stessa dei suoi pensieri troppo poetici. Ora si faceva riprendere da una lieve sonnolenza, un torpore delle membra, una mollezza dei nervi. Non voleva dormire, no; anzi pensava ostinatamente che le avrebbe fatto male addormentarsi al fresco della notte, nella sua carrozza scoperta. Così, per sottrarsi a quel torpore, per persuadere sè stessa di essere bene sveglia, voleva fissarsi sopra un’idea; chi pensa, non dorme, nevvero? Cercava riunire tutte le impressioni del ballo, ricordare per filo e per segno quanto ella aveva fatto, quello che aveva visto fare agli altri; ma si accorgeva di perdere un ricordo, mentre ne trovava un altro; mancava il filo che li congiungesse tutti. Alla porta della sala stava per ricevere le signore il duca di Rivela; sì, il duca. Non era lui che l’aveva maritata a Marcello? Sì; ma questo non ci entrava. Voleva farsi venire in mente con chi aveva ballato il primo ballo. Con Mimì D’Alemagna, che dopo si era dedicato esclusivamente alla Filomarino. Marcello girava per le sale pallido e muto, con la noia dipinta sul viso. La Giansante, nei lancieri, aveva fatto una riverenza troppo profonda, si era impigliata nella veste ed era caduta; molte signore avevano riso, nascondendosi dietro il ventaglio. Il breve cotillon rustico ella lo aveva ballato con Paolo Collemagno, che le sedeva daccanto, negli intervalli, pallido e taciturno come suo marito, quasi fossero attaccati ambedue dalla stessa fatale malattia. Ella, che si sentiva gaia, gli aveva chiesto: «Che avete, Collemagno?» Egli con la sua voce dolce e rispettosa, le aveva risposto: «Grazie, signora, niente.» Poi ad ogni giro di waltzer l’aveva trascinata via con un ardore febbrile. Ella udiva ancora nell’orecchio il ritmo acuto, stridente, quasi beffardo del waltzer di Metra; le pareva di ballarlo ancora, con

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