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Parte quarta | 177 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Cuore infermo.djvu{{padleft:177|3|0]]— Egli ritorna? — rispose lui, eludendo la vera risposta.
— Non ancora. Debbo scrivere che rimaniamo sino alla fine di ottobre? Nel caso giungerebbe in tempo.
— Fa come credi.
— Ma resteremo noi veramente sino allora?
— Io non ne so nulla — disse lui, quasi distratto.
Si annoiava di discorrere con lei. Era irritato. Mentre quel viaggio placido e lungo, quella luce, quella vastità di mare, calmavano e dilettavano Beatrice, egli trovava tutto questo eterno, stupido, insopportabile. La facoltà del sogno che ella acquistava, egli l’aveva perduta. Si sentiva arido, secco, con la fantasia insugherita, accartocciata e morta come una foglia appassita sul ramo. Il candore della natura gli appariva calcinoso. «Questo paesaggio è clorotico; ci si ispirerebbe un idealista»: aveva pensato fra sè. Egli era in contraddizione con quanto lo circondava. Invece della notte, avrebbe voluto il giorno caldo e polveroso, in una fracassosa via di città, col fumo dei sigari, l’urto delle persone affaccendate, il mormorìo e lo scoppio delle voci. Avrebbe voluto, invece di stare all’aperto, essere in un salotto chiuso, malsano, dall’aria viziata, dalle portiere pesanti, dai colori vividissimi, crudi, dal silenzio voluttuoso. Quella placida poesia gli era insoffribile; lo riprendeva il desiderio dell’agitazione febbrile, delle sensazioni acute e dolorose, della esaltazione nervosa. Il viaggio gli sembrava lunghissimo...
Dalle spalle di Beatrice era scivolata sulla stoffa dell’abito la mantiglia. Al termine del viaggio, ella si concedeva tutta nella sua acconciatura da ballo, con le linee perfette del suo busto disegnate nella corazza, ella si concedeva tutta al raggio lunare. Finiva ormai il cammino ed ella quasi se ne doleva. Quel diletto12