Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
178 | Cuore infermo |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Cuore infermo.djvu{{padleft:178|3|0]]solitario, quieto, egoistico, di cui si compiaceva tanto, finiva. Pochi altri momenti ancora e la bella impressione diventerebbe anch’essa un ricordo. Entravano in Sorrento. Sulla piazza, la statua di Sant’Antonino, tutta di piperno bruno, arieggiava quella notte il marmo. Non rimaneva che un altro piccolo tratto di campagna, appena fuori Sorrento; villa Trevisani, villa Mendozza, villa Torraca...
— Ferma un momento, Pietro — disse Marcello, rivolgendosi al cocchiere.
— E perchè? — chiese ella, meravigliata — non siamo giunti ancora.
— Io scendo un po’ prima. Fo due passi; tu va a casa. Ti raggiungo.
Non doveva dirgli nulla al marito? No, nulla; ne era sicura adesso. Ma entrando con la carrozza nel viale della villa Sangiorgio, tutta sola, ella si ravvolgeva nella mantiglia, con gli occhi chiari e lucidi, il volto bianco, le labbra strette, colpita dal gelo mortale di chi ha dormito o sognato lungamente sotto il perfido raggio della luna.
IV.
Lalla si cullava nella sua poltrona americana; Marcello che sedeva quasi ai suoi piedi, sopra uno sgabello, aveva tentato più volte di fermare la seggiola che ondulava, poggiando la mano sul bracciòlo. Ma con un moto brusco, Lalla aveva scostata la mano, riprendendo il suo cullamento. Quella sera si preparava burrascosa. Lalla