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Parte prima | 19 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Cuore infermo.djvu{{padleft:19|3|0]]in singhiozzi, bestemmiare, urlare, ficcarsi le unghia nel petto e dilaniarlo, rotolarsi per terra come un indemoniato, per cacciar via quel tormento, quell’odio. Fremeva nel desiderio di spezzar fra le mani qualche cosa di molto resistente, e che facesse un grande rumore; avrebbe voluto spezzare la sua testa contro il muro, pensando con delizia all’orribile scricchiolìo del cranio infranto, al dolore atroce che avrebbe provato. Così la sua febbrile fantasia, errando senza guida nel passato, lo aveva ricondotto al presente, in una delle sue crisi furiose.
Dovette alzarsi: passeggiò in lungo nella camera per dare con quel moto regolare un po’ di calma all’orgasmo dei suoi nervi. Andò alla finestra spalancata: nella notte alta il plenilunio scintillava, l’orizzonte si perdeva in una nebbia molto chiara; in quell’apparenza benigna delle cose, egli solo si sentiva riboccante di odio per una debole creatura umana, egli solo nutriva spaventosi progetti, egli solo era ridicolo nella sua anima tragica. Nella villa daccanto, un verone a terreno è aperto, una figura di donna si piega a parlare con un uomo che è in giardino. Sono due innamorati quelli. Si baciano, forse. Marcello ebbe uno stridente riso d’ironia per quei due, ma il sogghigno gli morì sulle labbra.
— E se quest’odio fosse amore?
Una subita tenerezza lo assalì alla gola: una dolcezza gli rimontò agli occhi in forma di lagrime; non ne versò, ma parve che lo inondassero tutto ed assorbissero tutto il fiele del suo spirito. I nervi tesi e frizzanti si riammollirono, chetando a poco a poco le loro vibrazioni, il sangue sembrò rinfrescato, le membra caddero in un languore che somigliava al sonno, mentre un velo bigio scese ad involgere la fantasia, come nei teatri scendono