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Parte quarta | 205 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Cuore infermo.djvu{{padleft:205|3|0]]di batista. Lo strascico infangato, mezzo lacero, si trascinava dietro un virgulto secco, come un fruscìo di passi che la perseguitassero. Ella fuggiva, incespicando contro i ciottoli, sentendo solo il suo terrore sconfinato e le precipitose pulsazioni del suo cuore. Fuggiva come un’insensata, con le braccia strette al seno, coi denti serrati, sobbalzando come una cervia ferita. Alla siepe, l’abito si attaccò alle spine: ella cadde sulle ginocchia, mezzo impazzita, cercando distrigarsi, pungendosi e straziandosi le mani, lacerando i lembi del suo abito, credendo di dover morire là, avvinta alle spine: con un moto convulso se ne staccò e riprese la sua corsa. Due volte si arrestò in cammino, perchè il petto pareva si dilatasse per poter capire quel palpito sfrenato che la soffocava; due volte riprese la sua fuga, senza un barlume, perdendo la sua via, girando per i viali, ritornando donde era partita, supplicando mentalmente Dio di farle ritrovare la porticina. Finalmente vi andò a battere di contro; si arrampicò per le scale, attraversò come una freccia i saloni. La luce, il caldo, il silenzio della sua camera produssero una reazione. Ella andò a cadere presso il letto, sul tappeto, nei suoi abiti fradici, alzando verso il ritratto di Luisa Revertera le sue mani, e gridando con la voce del fanciullo disperato:
— Mamma mia, mamma mia!