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218 | Cuore infermo |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Cuore infermo.djvu{{padleft:218|3|0]]ed arrossiva ogni minuto. Quel visetto di bimba-donnina si tramutava improvvisamente. Quando Paolo Collemagno si accostò alla seggiola di Lalla, ella sorrise un poco, quasi racconsolata.
— Perchè siete venuta? — domandò sottovoce Paolo a Lalla.
— E voi? — ribattè quella, alzando la testa a guardarlo.
— Io vengo sempre.
— Ed io mai, ecco il perchè. Vi duole di avermi incontrata?
— No, ne sono contento — disse egli con una certa fierezza.
— Al solito, siete sempre innamorato di me?
— Io non ve l’ho detto, signora — osservò lui, ma senza asprezza.
— Ben risposto. Comincio ad amarvi, Collemagno.
— Badate, la duchessa Sangiorgio ci guarda.
— Io amo anche la duchessa Sangiorgio.
— Voi amate troppo, contessa.
— È il mio difetto. Chiedetene a Marcello.
Egli si tacque crudelmente colpito. Ma preso da un timore istantaneo, si chinò di nuovo a dirle:
— Verrà forse Marcello qui?
Ella diede una risatina sarcastica, affissandolo, senza rispondergli.
— Ditemelo dunque. Verrà?
— Non so. Forse. Anzi verrà certo.
Collemagno si rizzò e, senza volerlo, guardò Beatrice. Era diventato così pallido, negli occhi gli si leggeva tanto dolore di sè, tanta gentile e conscia pietà di lei, che ella se ne intimorì. Le parve che il proprio doloroso pensiero prendesse una forma in quello sguardo,