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238 | Cuore infermo |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Cuore infermo.djvu{{padleft:238|3|0]]miniatura di donna Beatrice, duchessa di Sangiorgio-Revertera: accanto, in un vasellino di cristallo lucidissimo, pochi fiorellini bianchi che bagnavano i loro steli nell’acqua limpida, fiorellini posti dal mattino nel vasello. Ella rimase immobile, intenerita. Provò ancora una volta l’irrestibile desiderio di cadere nelle braccia di suo marito. Ma egli era altrove ed alle tre... Fu ripresa dal sentimento del vero. Non era venuta là dentro per intenerirsi. Da capo la sua volontà s’indurì. Frugò pian piano, senza spostarle, fra le carte della scrivania. Naturalmente non trovò nulla. Non s’impazientì. Ad un cassetto della scrivania era la chiave: Marcello si affidava. Del resto, aveva portato via la chiave della camera. Aprì uno per uno i tiretti; trovò del denaro, dei registri, due pacchi di lettere, sottofascia, con la data e con la qualifica: affari. Un tiretto era pieno di scatole di sigari. Non trovava niente, dunque. Eppure le lettere grigie, col simbolo della rondinella e della margheritina, che di nuovo giungevano puntualmente a Marcello, ci dovevano essere. Dove? In un angolo vi era una scrivaniuccia da dama, per vergare un bigliettino, in piedi. Due cassetti minuscoli.
— Sono là — pensò.
Era proprio decisa? Sì, proprio decisa.
— E se viene Marcello? — le chiese la sua coscienza.
— Venga pure. Mi troverà qui.
E andò presso la scrivaniuccia. La piccola chiave era nella serratura. Nulla potea trattenerla nella sua via. Aprì il primo tiretto; vi erano tre pacchetti delle famose lettere grigie. Una sola, sciolta, con la laceratura nervosa che Marcello vi aveva fatto mezz’ora prima. Aprì e lesse:
«Oggi, dunque, alle tre, nel parco di Capodimonte, nel viale della Cascina svizzera. Avrò un gruppo di