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Parte quinta | 243 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Cuore infermo.djvu{{padleft:243|3|0]]del suo mazzolino, aprì il suo ombrellino perchè i raggi del sole penetravano attraverso i rami fronzuti degli alberi e perchè la fodera di seta rossa dell’ombrellino dava delle ombre rosse al suo visino. Attraversò il viale in tutta la sua lunghezza, pensando con un po’ di dispetto che Marcello avrebbe potuto essere più premuroso. Arrivata all’estremo, si fermò, guardando nel viale che faceva angolo retto col primo. Una donna di lontano si avvicinava, senza affrettarsi, come se passeggiasse. Amalia fece un moto di fastidio, ma non mosse un passo. Senza volere, s’interessava a quella passeggiatrice. Aveva forse anch’ella un convegno? Sarebbe stata graziosa... Dopo un minuto le due amiche si trovarono l’una di fronte all’altra. Amalia, pallida come un cencio di bucato, tremante, non trovando fiato per dire una parola: Beatrice, grave, serena, non sorridente. Si guardavano.
— Che fai tu qui? — arrivò a balbettare la Cantelmo.
— Passeggio, come vedi. La giornata è splendida e questo bosco è bellissimo.
— ... Questo bosco è bellissimo... — ripetette Amalia, come trasognata.
Girava fra le dita il suo disgraziato mazzolino di margheritine. Era presa nell’istesso tempo da una grande paura e da una grande vergogna: aveva voglia di scoppiare in pianto. Era sfortunata. Nulla le riusciva. Ecco che Beatrice le sorgeva davanti, seria, severamente virtuosa, come una matrona impeccabile. La guardò di nuovo, poi, come un fanciullo che ha bisogno di protezione:
— Menami via, menami via — le disse sottovoce, con tono supplichevole.
E le si ficcò sotto il braccio, trascinandola un poco.