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Parte quinta | 265 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Cuore infermo.djvu{{padleft:265|3|0]]Allora, con un’energia virile, riuscì a conservar sulle labbra il suo sorriso, riuscì a rimanere serena, raggiante nei suoi brillanti. Coperta di gioie, nel trionfo della sua bellezza, nel suo abito candido, ella conservò lo stesso volto, mentre dentro aveva il tumulto della battaglia. Prendeva e lasciava l’occhialino, si faceva vento, si volgeva con una grazia mirabile; discorreva con suo zio, nell’intervallo aveva ricevuto due o tre visite, conversando con tutti, amabilmente, al suo solito. S’interessava anche alla rappresentazione, alla faccia color di rame della prima donna. Ogni tanto, quando il suo sguardo s’incontrava con quello di un’amica vi era uno scambio di sorrisi, un piccolo cenno amichevole della testa. Aveva detto a Checchino Filomarino che San Carlo aveva in quella sera un bell’aspetto; aveva chiesto al conte Màrgari se i teatri dei suoi tempi riunivano tante belle donne come quelli d’adesso; ed il conte le aveva risposto galantemente di no. Poi s’era rivolta di nuovo alla scena. Tutto questo sentendo fisso su di sè lo sguardo di Lalla, sguardo assiduo, immobile, ardente; supponendo, dietro Lalla, suo marito, attirato fatalmente anche lui a guardarla. Ella aveva il coraggio di non voltarsi da quella parte. Immaginava che Lalla, che Marcello dovessero molto soffrire, argomentando da quello che soffriva lei. Già erano condannati al medesimo triplice dolore. Principiava ad avere paura da capo.
— Non possiamo rimanere insieme. Essi fuggiranno... — ritornava a pensare.
Le pareva di essere la più impotente, la più passiva delle tre persone che formavano quello strano nodo. Forse stava in lei lo spezzarlo; forse avrebbe dovuto fare atto di volontà. Le venne un desiderio forte di combattere, di agire, dovesse anche nascerne uno scan-