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282 | Cuore infermo |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Cuore infermo.djvu{{padleft:282|3|0]]si aggiunge all’altra, all’altra, senza posa; quando tutti i segreti istinti di malvagità si sviluppano, s’ingrandiscono e mormorano alla mente smarrita i consigli feroci. Erano state le notti nere, cupe, senza un raggio, senza un barlume, in una continuità disperata di ombra e di silenzio, quando parrebbe amabile la luce di un villaggio che abbrucia o il fracasso di una valanga che precipita, pur di spezzare la eterna atonia del buio e del silenzio; allora l’anima si sprofonda nell’immobile annientamento, sentendo aggravarsi sul capo il cielo, e tutte le nere potenze del male crearle attorno quella notte. Erano state le giornate terribili, tempestose, con tutti gli elementi della vita fuor di posto, sconvolti; quando la noia, trascinata lungamente, il tormento sottile, la rabbia sorda, la collera celata, la triste gelosia, il dolore compresso, la disperazione subìta tacitamente, si sfogano, si scatenano in una bufera spaventosa. Tutto questo, che è pure il retaggio dell’amore, era stato nel passato. Solitariamente, divisi, inconsci l’uno dell’altro, avevano sopportato la loro sofferenza, senza che alcuna gioia venisse a confortarli; solitariamente avevano resistito all’urto fiero a cui molti cedono o soccombono. Ed usciti salvi dalla battaglia, li attendeva un premio inapprezzabile, più unico che raro: avere esaurito la fatale parte di dolore che è nell’amore; avere dinanzi, senza ombre, senza amarezze, senza tempeste, la parte pura di gioia che è nell’amore.
Si ricordavano talvolta di essersi visti altrove, confusamente. Sorridevano di quelle apparizioni lontane, di quei fantasmi evanescenti. Pareva a loro non aver vissuto in quel tempo che in una aspettazione paziente, sentendo maturare in sé stessi la potenza dell’evocazione;