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302 | Cuore infermo |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Cuore infermo.djvu{{padleft:302|3|0]]Ella trasaliva, si scostava vivamente, come se un ferro rovente l’avesse toccata.
— No, no! — gridava ella, con un senso di paura, di orrore.
Allora egli si lasciava dominare dalla sua natura violenta ed eccessiva, dava in escandescenze, passeggiava su e giù per la camera, esclamava che ella non l’amava più, che ella aveva dei segreti per lui, che lo odiava, forse. Si esaltava nella sua collera. Le parlava nel volto, a voce soffocata, repressa, a parole vibrate, per fare scuotere quella impassibilità taciturna. Beatrice ascoltava, ascoltava, senza batter palpebra; ma lentamente, un po’ di sangue saliva a colorirle le gote, un sospiro d’amore le gonfiava il petto, un fremito le correva per la persona. Improvvisamente, mentre egli parlava ancora, trasportato dalle sue stesse frasi, ella si rizzava davanti a lui, d’un pezzo, come spinta da una molla, e lo abbracciava, lo stringeva, lo guardava negli occhi con una espressione feroce di amore, gli mormorava parole spezzate, affannose, quasi morsicchiate dalle labbra prima di uscire. Talvolta, dopo simili slanci, cadeva in deliquio, quasi morta.
Oppure l’asprezza se ne andava, inondata, ammollita. Ella cominciava a rispondergli pianamente, per non agitarsi, senza muoversi; gli diceva tranquillamente che egli aveva torto, che ella lo amava sempre, come prima, più di prima, sempre di più; che non aveva segreti, no; che la sua salute era un po’ sofferente, una indisposizione passeggera, un mal di nervi: cose da nulla. Lo amava sempre, sempre, sempre; era il suo caro sposo, il suo dolce amore, la sua tenerezza, la sua felicità, la sua adorazione - e le sue parole lente, amorose, quasi gravi, spiravano una dolcezza infinita. Marcello stesso, quasi per riflesso, quasi per contagio, veniva compreso,