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Parte sesta 321

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Cuore infermo.djvu{{padleft:321|3|0]]scoverta saliva al passo, e Beatrice aveva aperto il suo ombrellino foderato d’azzurro per ripararsi dal sole. Non si voltava mai indietro per guardare, fissava gli occhi sul prossimo gomito della via sinuosa che le stava davanti. Marcello guardava lei un po’ dubbioso.

— Possibile che non si ricordi? — pensava egli fra sè.

Ma Beatrice pareva non si ricordasse punto; nella brezza crepuscolare che si levava, un'ombra rosea saliva a colorirle leggiadramente le guancie.

— Ti stanca forse questo andar troppo lento? Vuoi far affrettare?

— No, mi sento bene così.

— Tu guarirai a Sorrento. Mi par già di vederti risanata.

— Sì, lo credo.

Ma intanto ambedue pensavano a quella notte lunare, in cui avevano viaggiato insieme tanto lontani, tanto indifferenti. E Marcello si tormentava fra sè:

— Ella ricorderà.

Beatrice ricordava, è vero. Ma non trovava in sè la forza di una reazione. Molte fonti di vitalità erano esaurite in lei. A certi pensieri, a certi sentimenti che nulla risvegliavano in lei, ella sentiva l’atonia del suo spirito. Non aveva più l’impeto per sbalzare sotto il ricordo della gelosia. Così, quando passarono davanti a villa Torraca, tutta chiusa, ella chinò gli occhi, ma nessuna impressione si dipinse sulla sua figura che Marcello studiava con ansietà. Solo, entrando nel viale di villa Sangiorgio, ella si rigettò indietro, quasi volesse fuggirne: fu un brevissimo moto di terrore. Per la serata e per la notte, nel suo nuovo appartamento, ella fu molto triste, molto triste, con certe idee lugubri, nere, che Marcello non arrivava a scacciare. Tutto le sembrava uggioso, disadatto, comune, senza gusto. Le mancavano moltissime

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