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Parte sesta | 353 |
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— Di lei appunto.
Tacquero. Lalla s’impazientiva.
— E che farete? — gli chiese d’un tratto.
— Io? nulla, signora — disse lui con una grande semplicità.
— Voi siete giovane. La vita è lunga.
— È lunga — ripetette egli, come un’eco triste
— Il dolore si consuma ogni giorno, Marcello. Vorremmo trattenerlo ancora, l’ospite ormai divenuto caro; vorremmo serbarlo per noi, solo per noi, per tutta la vita. Ma è impossibile: è legge che sia impossibile; e noi sentiamo sempre più il suo abbandono, sentiamo che esso ci lascia. Invano gli gridiamo di restare, invano ci ribelliamo contro la nostra ingratitudine, contro la nostra indifferenza. Viene il giorno in cui il dolore parte. Lo avete preveduto questo giorno, Marcello?
— No, signora.
— Pensateci allora — ripigliò ella, animandosi al suono delle proprie parole. — Il giorno verrà. Le vostre forze risorgeranno, rinfrescate, vivide. La gioventù alzerà il suo grido di riscossa. Voi dovrete vivere ancora, amare ancora. Vedete, laggiù, Napoli è stupenda di bellezza, è bella nelle sue notti innamorate, nelle sue giornate violente, nei suoi canti che vi seducono, nei suoi colori sempre ardenti, nelle sue dolcezze voluttuose. Laggiù corrono per l'aria sospiri infuocati, aliti d’amore, mormorii di baci, parole convulse; laggiù si è costretti ad amare, perchè il cielo vuole che amiate, perchè la natura v’impone di amare, perchè la città congiura, con le stelle, col mare, per farvi amare.
— No! — disse lui.
— Non vi è Napoli sola. Vi hanno altre città, altre delizie, altre impressioni. Vi sono altrove nebbie e raggi di sole, quiete profonda o tumulto crescente; vi hanno città