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38 | Cuore infermo |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Cuore infermo.djvu{{padleft:38|3|0]]— Seguirò il vostro consiglio, mia buona amica.
La sala si vuotava. Pochi uomini ancora; di signore solo la principessa di Brancaccio, la duchessa di Mileto e la contessa Amalia Cantelmo.
— Ti sei rinfrancata? — chiese Beatrice ad Amalia Cantelmo, come se le fu accostata.
— Sì, Beatrice mia. Che vuoi? Non ho potuto dominarmi. Ora me ne vado. Lascia però che ti faccia un’altra domanda: Sarai tu felice?
— Ma sì, ma sì, te lo ripeto. Perchè non dovrei esserlo?
— Ohimè! l’avvenire è una ignota — esclamò Amalia ricadendo nelle sue fantasticherie. — Ma non voglio rattristarti. Divertiti, torna presto. Tuo padre sarà desolato e triste senza te.
— Lo credi?
— Ma certo! Ritorna, ritorna presto.
— Vedremo. È Marcello che decide.
E si baciarono due o tre volte, mentre Amalia si rasciugava le lagrimette che ricomparivano.
— Siate felice lungamente, Beatrice — disse la duchessa di Mileto, con la sua voce dolce. — Amate vostro marito efficacemente, entrate nella sua vita in tal modo che mai, mai gli sorrida l’idea di abbandonarla. Noi donne non ci pentiamo di aver troppo amato, ci pentiamo di aver amato troppo poco.
Beatrice restò alquanto pensosa. Un’ombra le oscurava il volto.
— Credo di poter fare il mio dovere — rispose poi, quasi decisa.
— Sono stata al matrimonio di vostra madre, della mia buona Luisa — disse la principessa Brancaccio. — Io spero che dal cielo essa sia contenta di questo giorno.
— Lo spero, lo spero anch’io — balbettò Beatrice impallidendo, mentre le sue palpebre battevano due o tre volte.