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Parte prima | 51 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Cuore infermo.djvu{{padleft:51|3|0]]moniosi, egli si sentiva tutto intimo con sua moglie, in una confidenza soavissima, ridiventato buono come un fanciullo, con una tenerezza grave da uomo innamorato.
— A che pensavi qui, sola sola, al buio, Beatrice?
— A nulla pensavo.
— Come a nulla?
— Voglio dire, a nulla che possa interessarti. Pensieri soliti.
— Quanto tu pensi m’interessa, Beatrice.
Ella non rispose; egli scherzava macchinalmente con la frangia del bracciale della poltroncina dove ella sedeva. Due volte con le dita le aveva sfiorato il braccio che vi si appoggiava. Ma non poteva raccapezzarsi dove fosse la mano; forse aveva dovuto toccare il gomito piegato.
— Guardavi tu il fuoco? — diss’egli poi.
— Io?... Sì.
— Certo, tu devi amarlo. Ci vedi tu forse qualche visione bella e fulgida?
— Non so. A me nulla appare nel fuoco.
— È strano, è strano — soggiunse Marcello sovrappensieri, distratto in una meditazione che rallentava le sue parole — ma noi altri uomini del Mezzogiorno non conosciamo i sogni che ci crea il fuoco. I caminetti dei nostri palazzi rimangono spenti, nascosti da un ricco ed inutile parafuoco, e nell’inverno, da essi, invece del calore, penetra nelle nostre sale un vento sciroccale. Noi, quando abbiamo freddo, usciamo di casa, ci riscaldiamo al sole, nella luce, nell’aria libera, dove non si sogna, ma si vive. Così non possiamo conoscere le visioni del fuoco.
Beatrice continuava a non rispondergli. Pure Marcello era tanto compreso di lei, che per rimbalzo gli pareva