Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
Parte prima | 9 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Cuore infermo.djvu{{padleft:9|3|0]]Laggiù, nel grande viale del giardino, che andava dal peristilio posteriore della villa sino al mare, due donne passeggiavano. Una di esse camminava più innanzi, si fermava impaziente, tornava indietro, parlottava vivamente. Ella non si lasciava domare dalla soavità dell’ora; in quel riposo della natura, in quei lievi sospiri che manda la terra stanca di amore, Amalia fremeva nel sussulto dei suoi nervi. Era un figurina svelta; la testolina bionda, arruffata, impertinente, di scolaretto in vacanza, aveva moti vivissimi; la carnagione troppo bianca si punteggiava naturalmente di piccole lentiggini che scomparivano la sera; gli occhietti azzurri scintillavano tra le frangie riccie delle palpebre; il corpo magro, piccino, un po’ lungo di busto, si agitava senza posa. Ella portava in qualche parte del volto, forse nella piega ingenua delle labbra, forse nella finezza della pelle, forse nella irrequietezza dello sguardo, qualche cosa di infantile, di stordito, che le dava la seduzione di una gentile bambina, cresciuta troppo presto. Si muoveva nel suo lungo e ricco abito con una scioltezza, con una leggiadrìa carezzevole, che la rendevano simigliante ad un animaluccio grazioso, un uccellino, uno scoiattolo; portava al braccio una ventina di cerchiolini in argento che faceva tintinnire spesso, scuotendo la mano; s’interrompeva nel discorso, quasi inquieta, per aggiustare gli sbuffi in trina del suo goletto; metteva il punto ad una frase, scrollando il capo per rimandarsi indietro i ricciolini che le piovevano sulla fronte; morsicava con rabbiuzza una foglia di cedratina, che le faceva venir verdi le labbra sottili; chiacchierava con volubilità, ora trillando la voce, ora trascinandola con languore, ridendo, rattristandosi, interrogando sè stessa, rispondendo, abbandonandosi all’espansione del suo temperamento delicato, febbrile, avido di sensazioni opposte.