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Parte seconda | 91 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Cuore infermo.djvu{{padleft:91|3|0]] È il tuo amore che io voglio, simile al mio. Lasciamelo sperare per l’avvenire: quanto si può fare per meritarlo, lo farò. Sii buona; non ti chieggo molto. Dimmi che si potrà dileguare un giorno la tua apatia, che l’affetto può sorgere nel tuo cuore, che tu un giorno potrai amarmi....
— In questo giorno che tu dici, debbo io amarti diversamente, più di oggi, Marcello? — chiese ella con aria riflessiva.
— Ma non è amore questo tuo, è la più crudele indifferenza, è l’apatia del cuore, è il sonno dell’anima!
— Credi tu proprio che sia così?
— Io ne sono certo — rispose Marcello, con la più desolata sfiducia.
— Ebbene, sia. Forse io m’inganno. Va bene. Ma sono franca. Non potrò mai essere diversa per te, Marcello.
— Oh! non dirlo, non dirlo! Pensa all’amarezza infinita delle tue parole, pensa a quello che distruggi in me....
— Non posso amarti diversamente, o di più.
— Non oggi, non ti chiedo oggi. Fra un anno, fra cinque.... per un’ora, per un solo istante....
— Nè oggi, nè dopo. Non posso, Marcello.
— Miserabile creatura che sei! — gridò egli, maledicendola con la voce e col gesto.
Un’alba rossiccia cresceva, cresceva sino a diventar giorno. Impallidiva la lampada. Marcello si alzò dalla seggiola e, passando dinanzi alla moglie, le disse con tono breve:
— Oggi partiremo per Napoli.
Ella s’inchinò senza rispondergli.