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234 | Gabriele d’Annunzio |
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Per l’orrore de’ portici silenti
a la fonte, assetata, una Maria,
come il cervo simbolico, venia
e ne l’acqua immergea le mani ardenti.
Quindi, protesa le stillanti mani,
e il ventre, bianco qual coppa d’avaro,
nudata, mormorava: — Eleabani!
Eleabani da la chioma d’oro,
o tu per le cui nembra i rai de ’l sole
una veste han tessuta, Eleabani,
o tu cui ne la bocca come grani
di puro incenso odoran le parole,
tu che de ’l tuo corpo hai fatto vase
a’ balsami celesti ed a’ profani,
o tu che scendi ne le nostre case
qual ne’ campi rugiada, Eleabani,
m’odi: li astri de ’l ciel com’aurei pomi
tremano in tra le foglie a’ melograni;
io son ebra e languisco, Eleabani,
come la damma a ’l colle de li aromi.
Come al vento tra le árbori la damma,
io trasalgo e sobbalzo ai romor vani.
Ad ora ad ora, in ciel vedo una fiamma.
Non tu sei che lampeggi, Eleabani?