< Pagina:D'Annunzio - Isaotta Guttadauro, 1886.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.
26 Gabriele d’Annunzio

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|D'Annunzio - Isaotta Guttadauro, 1886.djvu{{padleft:32|3|0]]

II.

Così chiamai l’amata in nona rima,
sotto il grande balcon di tiburtino
ov’han lo scudo i Guttadàuro-Alima
con gocce d’oro in campo oltremarino.
Dormìa la villa ne ’l silenzio: in cima
a li aranci de ’l nobile giardino
aprivano i paoni le gemmanti
piume verso la luce, e de’ lor canti
striduli salutavano il mattino.

Ella apparve. - Buon dì, messer cantore! -
disse ridendo con gentile volto.
- Non questo è il tempo gaio de ’l pascore,
ma voi siete di ver loquace molto.
Or seguite a trovar rime d’amore,
che con benigno orecchio, ecco, v’ascolto. -
Io le dissi: - Madonna, io son già fioco.
Or voi di si salutevole loco
scendete a me che son di pene avvolto! -

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.