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76 | Gabriele d’Annunzio |
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SESTINA.
Quando più ne’ profondi orti le rose
aulivano per l’aria de la sera
e mesceasi a quel lor tepido fiato
sapor di miele da’ pomari d’oro,
venne Isaotta un tempo a le mie braccia,
candida e mite quale a maggio luna.
Non si dolce chinò li occhi la Luna
su ’l suo vago sopito in tra le rose
Endimïon, tendendo ambo le braccia,
(splendeva il Latmo a la vermiglia sera,
cui bagnano i ruscelli in vene d’oro:
sol de’ veltri s’udia l’ansante fiato)
com’ella sovra me. Caldo il suo fiato
io sentìa su ’l mio volto, ed a la luna
vedea brillare la cesarie d’oro
cui cingevano i miei sogni e le rose.
Fulgida aurora a me parve la sera,
ne ’l cerchio de le sue morbide braccia.