< Pagina:D'Annunzio - Laudi, I.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

LAUDI DEL CIELO E DEL MARE

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|D'Annunzio - Laudi, I.djvu{{padleft:218|3|0]]


E questi avea seco, qual pegno
d’amore, la sferza untuosa
tagliata nel cuoio ferrigno
del pachidermo fiumale,
fatta untuosa dai dorsi
negri stillanti di sevo
5320fetido. E amava d’amore
anch’egli una terra lontana,
la terra ignìta ove la Sfinge
all’urto dell’uomo ritratta
s’è dalle sabbie del Nilo
ad altre piagge crudeli
e in silenzio attende l’audace
5327per farsi alla gola una torque
di candidi ossi novella.
E certo anch’egli in quel punto
travagliato era dal suo
grande amor periglioso;
ché tutti avevamo una febbre
di sogni nel sangue e donata
5334l’anima a grandezze lontane.

Il Sol declinando, caduto
era ogni soffio come
tra Itaca aspra di rupi
e Same irta di cipressi
là sul Ionio Mare nel giorno
memorabile. In cerchio
5341sorgeano dall’acque serene
le belle Cicladi, d’oro


    - 204 -

    [[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|D'Annunzio - Laudi, I.djvu{{padleft:218|3|0]]

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.