< Pagina:D'Annunzio - Laudi, I.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

LAUDI DEL CIELO E DEL MARE

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|D'Annunzio - Laudi, I.djvu{{padleft:242|3|0]]

E le lor femmine (Roma
ne impresse l’effigie nell’oro
5999imperiale) dal collo
pesante, dal ventre mai sazio,
dalla chioma lucida e folta
come la lana dei neri
capretti, le femmine belle
e lente ai copiosi pasti
infuriavano i maschi
6006col fortore delle ascelle.

Quivi l’animale umano
amai, che divora, s’accoppia,
urla, combatte, uccide,
inconsapevole e vero.
Quivi divinai la divina
bestialità che facea
6013sì resistente la forza
di Roma dal tardo pensiero.
Meglio che tra gli spadoni
e le spìntrie, il mio dolore
e il mio desiderio inespressi
quivi respirarono, fatti
più forti perché più carnali.
6020Il pregio e il mistero del sangue
sentii mirando su le lastre,
nel solco dei carri, brillare
il fiotto vermiglio sgorgato
dalle ferite mortali.
O selva d’arbori eguali,


    - 228 -

    [[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|D'Annunzio - Laudi, I.djvu{{padleft:242|3|0]]

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.