< Pagina:D'Annunzio - Laudi, I.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

LAUDI DEL CIELO E DEL MARE

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|D'Annunzio - Laudi, I.djvu{{padleft:272|3|0]]

liberi davanti al dolore,
liberi davanti al periglio,
liberi davanti alla morte.
6860E ciascuno è pronto a sé stesso,
ciascuno a sé stesso è fedele:
un arco che ama il suo dardo,
un dardo che brama il suo segno,
un segno che è sempre lontano.
E la libertà è lo squillo
d’oro, il clangore che incendia
6867il cielo antelucano.„

“Ben so, ben so questo che insegni„
io dissi. “Udìi già tal sentenza
fendermi come spada
gli orecchi, nel vento del mare;
e il cuor mi balzava nel petto
come ai Coribanti dell’Ida
6874per una virtù furibonda
e il fegato acerrimo ardeva.
Ma oggi il cuore m’aggreva
fattura di Circe omicida,
di Circe dalle molt’erbe
che inganna con voce soave.
Battermi tentò con la verga
6881ella e spogliato dell’armi
nel solido stabbio serrarmi.
Tu l’erba salùbre mi dai,
ed eccomi sano alla lotta.„ [Riapparizione di Ulisse]
Rividi la concava nave


    - 258 -

    [[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|D'Annunzio - Laudi, I.djvu{{padleft:272|3|0]]

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.