< Pagina:D'Annunzio - Laudi, III.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.
TERZO - ALCIONE

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|D'Annunzio - Laudi, III.djvu{{padleft:225|3|0]]

robusta come tronco di serpente,
e strinsi e strinsi; e con la manca trassi
dalla ferita fresca il dardo primo,
230più volte e più nell’imo
fegato lo confissi.
Combattemmo sul ciglio degli abissi,
in conspetto del Sole, a mezzo il giorno.
Gloria d’Icaro! Intorno
235alla zuffa ogni bàttito di penne
sprizzava mille stille
di sangue come porpora in faville
accesa ed isvolata via per festa.
A gloria la mia testa
240pareva di faville incoronarsi.
E le piume dei tarsi
e del petto e del collo e delle ascelle
isvolavan su l’Ostro.
E un rivolo purpureo dal rostro
245colava sul mio braccio imporporato
fino al cùbito. E làcera dai colpi
delle rampe la destra coscia m’era
sì che la messaggera
Nike, se mai sostò sul solitario
250vertice andando verso Atene mia
a recar le corone
dell’oleastro, fece il paragone


- 215 -

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|D'Annunzio - Laudi, III.djvu{{padleft:225|3|0]]

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.