< Pagina:D'Annunzio - Laudi, III.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.
TERZO - ALCIONE

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|D'Annunzio - Laudi, III.djvu{{padleft:229|3|0]]

all’urto delle picche furibonde.
330Sotto, il fragor dell’onde
avea lunga eco per ambagi ignote
quando l’Apeliote
enfiava i verdazzurri otri del sale.
Quivi all’innaturale
335opera intento era il mio padre, quivi
i congegni del volo
oprava senza incude e senza maglio.
Ben gli diedi travaglio
e affanno, ché pareami troppo tarda
340la sua fatica per il mio desìo
e sempre poche mi parean le penne
adunate dinnanzi a lui che oprava.
Per lui la cera flava,
stretta in pani, col pollice e col fiato
345ammollii; dispennai la copiosa
cacciagione; sollecito le penne
separai dalle piume.
Il sangue onde imperlavasi l’acume
d’ogni fusto divulso
350vertudioso parvemi; e mi piacque
a stilla a stilla suggerlo, accosciato
presso il fabro mirabile che oprava
seduto su la pietra.
Quante volte votai la mia faretra,


- 219 -

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|D'Annunzio - Laudi, III.djvu{{padleft:229|3|0]]

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.